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La fotografia secondo il termine Tassonomia
La fotografia secondo il termine Tassonomia
Prendiamo in considerazione l’intervista su Stefano Graziani dove vive a Trieste e dove ha studiato architettura allo Iuav di Venezia, insegna al Master in Photography Iuav a Venezia, al Naba di Milano e alla Freie Universität Bozen.
La fotografia si annuncia qui nel suo carattere duplice: da un lato chiaro atto di conoscenza a scopo documentativo, dall’altro preintellettuale luogo d’incontro tra soggetti.
Graziani si considera un fotografo minimalista e quando si parla di minimalismo si fa riferimento ad una semplificazione che è un ottimo modo per comunicare un messaggio in maniera semplice e diretta.
In che modo? In primo luogo lo sfondo dev’essere pulito preferibilmente sfondi lisci e cremosi in modo da mettere in risalto il soggetto facendo attenzione ai contrasti. Scattando una foto minimalista bisogna far emergere l’elemento umano di quell’immagine.
La sua passione per la fotografia è un sogno. Parla della fotografia come un linguaggio ambiguo per continuare a generare domande e dove spesso è sottoposto a critiche; si rifà al termine Tassonomia, disciplina della classificazione, dove è possibile distinguere gli elementi l’uno dall’altro.
Da qui il suo primo lavoro Taxonimies dove si è avvicinato a collezioni di oggetti ordinati classificati secondo precisi criteri e in tutte le sue opere è sempre possibile sapere ciò che stiamo guardando grazie al suo lavoro dove ha deciso di eliminare le sovra interpretazioni, da qui il suo modo di procedere è più un togliere che un aggiungere e dove ha a che fare soprattutto con la forma.
Quindi il suo lavoro possiamo definirlo una specie di sfida alla riproduzione fotografica dove allo stesso tempo la fotografia documenta la posizione dell’autore: da dove guardiamo le cose. Le sue fotografie sono di piccole e medie dimensioni ma possiamo dire che ogni fotografia abbia una propria scala, una propria necessità di ingrandimento.
E’ stato uno dei pochi giovani italiani ad approdare da Emilio Mazzoli dove ha iniziato a produrre diversi libri e realizzare alcune mostre. Due personali: nel 2009 e 2016 e una collettiva nel 2013.
Che la fotografia sia una rappresentazione problematica di ciò che chiamiamo “realtà” è un concetto ormai acquisito. A fare la differenza è la qualità di questa problematicità e del progetto da cui prende senso: per questo ci risulta interessante la mostra di Stefano Graziani “Questioning Pictures”, commissionata dalla Fondazione Prada e allestita nello spazio milanese di Osservatorio nella Galleria Vittorio Emanuele II.
Mostra curata da Francesco Zanot introduce la messa in discussione del mezzo fotografico che, operata dal fotografo di formazione architetto, propone una ricerca sperimentale attraverso collezioni di spazi istituzioni e include un nuovo corpus di opere che esplorano la fotografia come strumento di narrazione, catalogazione e reinterpretazione.
Le sue fotografie sono accompagnate da didascalie in modo da informarci di quello che vediamo fotografato, ci permettono di sapere gli oggetti da dove provengono e ci offrono la possibilità di sapere a quale ordine originale appartengono.
Infine i progetti per il suo futuro sono una mostra che realizzerà a marzo a Tokyo: si tratta di una collaborazione con lo studio di architetti Christ&Gantenbein di Basel; mostra che poi si sposterò in Corea e poi in Svizzera. Per ultimo ci saranno tre nuovi libri con editori diversi uno su Palazzo Abatellis con Humboldt books curato da Cloe Piccoli.
Guardando le sue fotografie ci rendiamo conto che potrà sembrarci difficile capire cosa è stato fotografato. Le opere di Graziani sono opere minimaliste, ritrae però anche nature morte perchè pensa che sia un terreno adatto alla sperimentazione in fotografia e che il genere corrisponda a un esercizio di composizione.
Il consiglio che viene dato allo spettatore è quello di essere autonomo nello sguardo seguendo l’occhio distratto dalla soggettività e di conseguenza ci rendiamo conto che non esiste un qualcosa che lega le sue opere, ma che in realtà girano intorno al suo modo di lavorare, appunto eliminando le sovra interpretazioni e mettendo in risalto il soggetto.